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viaggi per viaggiatori

I dinosauri del Ténéré (parte I°)

mar 192018

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Algeria-Niger dicembre 2001, gennaio 2002: Il deserto dei deserti riserva molte sorprese tra questi anche una valle dove emergono le ossa di un gran numero di dinosauri. Ma prima bisogna arrivarci ....


IL TÉNÉRÉ DEL TAFASSASET È ALLE SPALLE

Col de Chandelliers ecco ci siamo, il Ténéré del Tafassaset è finito. Il paesaggio intorno a noi è di nuovo pieno di rilievi, curve, spigoli. Siamo arrivati alla sommità di una collinetta dove si domina il circondario, ai piedi di questi due sassoni più simili a dei grezzi porta moccoli che ad eleganti candelieri, come il nome suggerirebbe. Quello che si vede non è che un pezzo di deserto della parte nord del Niger, ma in confronto alla zona che abbiamo attraversato oggi, quella che scorgo sembra quasi un posto sovraffollato. Un importante punto di riferimento, però, per chi viene da Nord e ha macinato tanti chilometri di piatto assoluto, lungo un tratto della pista Berliez tracciata nel 1959.

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SI PARTE DA DJANET, ALGERIA

L’altro ieri eravamo a Djanet, Algeria dove avevamo espletato le formalità doganali in uscita nonostante la linea di confine fosse a circa 300 km più a sud. In questo immenso spazio che ci accingevamo ad attraversare non ci sono controlli intermedi. Ci si “immerge” poco dopo l’aeroporto di Djanet e si riemerge dopo circa 600 km al Col de Chandelliers sopra Chirfa in Niger. Il tracciato della pista segue, nel suo tratto iniziale, le montagne del Tassili N’Ajjer, lungo la direttrice sud-est della pista che circumnaviga questo altipiano per arrivare a Ghat in Libia. Le ruote della moto costeggiano rocce nere con la sabbia dorata che le lambisce, circonda e, in alcuni tratti, si arrampica su di esse. Il paesaggio è sublime ed avrei voglia di fermarmi ad osservare ogni roccia, ogni anfratto, ma il piacere della guida su questo fondo sabbioso compatto e la necessità di fare chilometri prevalgono su questi desideri. Il tragitto del viaggio spazia tra Algeria e Niger ed i punti Gps che avevo definito passavano per Djanet, Chirfa, Bilma, albero del Ténéré, Valle dei dinosauri, Agadez, Tamanrasset. Chilometri di piste che richiedono determinazione ed esperienza di guida su sabbia.

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LA PISTA PIEGA VERSO SUD

La pista piega progressivamente verso sud attraversando una pianura sabbiosa, un altipiano col fondo duro e poi ancora un fondo compatto e scorrevole. Il cielo, soleggiato quando siamo partiti, si è velato progressivamente, ma non così tanto da farci temere la pioggia. La temperatura è ideale ed all'una ci fermiamo a mangiare accanto alla pista. Non abbiamo incontrato nessuno e ci sembra di essere quasi i padroni di questa parte di mondo. Siamo quattro, io con una Ktm Egs 620 E, Maurizio con una TT 600 R e Billi e Raffaella in macchina, un pick-up Toyota acquistato appositamente per il viaggio. In realtà anche loro due sono motociclisti di Ravenna, con cui abbiamo viaggiato per un tratto in Algeria lo scorso anno, ma data la durezza del tragitto di questo viaggio, non se la sono sentiti di affrontarlo in moto. Con Maurizio è il quarto viaggio africano, tra Libia ed Algeria, che affrontiamo insieme, ormai siamo diventati una sorta di "coppia". Ci accomuna lo stesso anno di nascita, la voglia di esplorare questa parte di mondo ed un'amicizia che non ha bisogno di molte parole. Basta la direzione del Gps.

MOTO ED AUTONOMIA

Viaggiare con il pick-up consente a noi due motociclisti di avere l'autonomia necessaria per un viaggio che prevede anche tratti di 800 chilometri senza rifornimenti di sorta. Io ho sempre cercato di essere "motosufficiente" ma non sempre questo è possibile o almeno ragionevole. Per questo ho comprato la KTM, perché dopo anni di serbatoi autocostruiti, taniche attaccate un po' dovunque, il tutto a scapito della guidabilità, ho deciso di utilizzare una moto che è fatta apposta per il deserto. Per prenderla da Firenze ero andato a Castiglion Fiorentino dove aveva l'officina Fabrizio Meoni, il grande e compianto campione, con il quale avevo avuto una lunga conversazione sulle moto e sull’Africa. Avevamo la stessa età io e Fabrizio, lui correva, vincendo da par suo, mentre io "semplicemente" viaggiavo, ma nei suoi occhi avevo scorto una passione molto simile per quei luoghi, anche se declinata in modo molto diverso. Lui si preoccupava della leggerezza e delle performance, mentre io cercavo la più ampia autonomia possibile a partire dalla benzina. Ero cosciente che i 42 litri che sarei stato in grado di trasportare non sarebbero bastati a percorrere in totale autonomia tutte le piste che sognavo di affrontare, ma erano comunque una buona base che, soprattutto, non pregiudicava la guidabilità del mezzo. Quindi, dopo aver ascoltato i suoi preziosi consigli e concordato l'acquisto, ci eravamo salutati. Meoni aveva concluso il nostro incontro con una frase che era un piccolo attestato alla nostra passione comune: "proprio una classe di ferro la nostra del '57!!!.

LA BALISE NUMERO 21

Dopo un frugale pasto proseguiamo verso sud, fino a raggiungere la balise numero 21 della spedizione Berliet, punto segnato sulla carta geografica 953 Michelin. Questa spedizione, dal nome della società francese di veicoli che l’aveva organizzata nel 1959, definì questa pista per fare in modo che dei normali camion potessero attraversare il deserto fino al lago Ciad e quindi consentire, per lo meno negli intenti, di trasportare merci tra le due sponde del grande deserto. La pista è ora segnata con dei pali di ferro di tre metri di altezza, balise in francese, posti ogni cinquecento metri. Progressivamente il paesaggio cambia e si fa sempre più essenziale. La giornata volge al termine e decidiamo, prima che le ultime propaggini dei Monti Gautier che fiancheggiamo a destra finiscano, di fare una piccola deviazione per trovare un posto dove fermarci per la notte.

IL CAMPO NEI MONTI GAUTIER

Una delle cose che amo di più dei viaggi nel deserto è questa possibilità di scegliersi dove sostare e fare campo. Mi da una sensazione di totale libertà piantare la mia tendina nel posto che ho deciso io e che per poche ora diventerà "casa", per poi tornare ad essere un luogo vuoto la mattina dopo. Il posto che scegliamo è riparato dietro una bassa duna ed è circondato da sabbie e rocce rossastre. Abbiamo trovato un poco di legna durante il tragitto ed avremo fuoco accanto a cui mangiare, sta sorgendo la luna che è bella piena e non fa freddo proprio una serata ideale. Chiacchiere, racconti e lunghi momenti di silenzio in cui scrutare il cielo carico di stelle nonostante la luna.

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ECCO FINALMENTE UN ALBERO

Anche la mattina ci svegliamo senza freddo e siamo di nuovo velocemente operativi. Raggiungiamo la linea delle balise che diventano rapidamente l'unico riferimento visivo che abbiamo davanti. Questi segnali sono l'unico modo per rendere sicuro l'attraversamento di questo immenso spazio di circa quattrocento chilometri in cui nessuna cosa visibile supera i trenta centimetri di altezza. Non ci sono avvallamenti non ci sono curve, non c'è vegetazione, davanti la sola linea dell'orizzonte e la "lineetta" delle balise ad indicare la direzione. Provo una sensazione di straniamento, di altrove. Il mio occhio cerca disperatamente qualcosa con cui misurare le distanze secondo i parametri con cui ha imparato a farlo. Ma per ore non scorgo niente. A un certo punto mi sembra di individuare qualcosa da prendere come riferimento. Ecco, giusto davanti a me un po' spostato a destra vedo un alberello dove fermarmi per qualche minuto a bere e riposarmi un poco. Sono davanti e Maurizio mi seguirà sicuramente. Accelero ma l'albero non si ingrandisce anzi tutto ad un tratto mi ci trovo accanto e... mi rendo conto che è un semplice cespuglietto che al massimo può fare ombra ai miei stivali. Ma che roba, sono strabiliato da questo frastornamento ottico.

QUI È PASSATA LA DAKAR

La giornata scorre veloce come la media che riusciamo a tenere senza affaticarci troppo, dato che le uniche difficoltà sono dei tratti di sabbia molle che ogni tanto sentiamo opporsi con più decisione alle nostre ruote. Sulla sinistra mi sembra di intravedere qualcosa ma, memore dell'illusione precedente, cerco di non farci troppo caso. Contrariamente a prima l'oggetto diventa sempre più grande mano a mano che ci avviciniamo. Ed eccoci fermi vicino ad un relitto della Parigi-Dakar. Dell'auto non rimane che la carcassa del telaio, dato che tutto ciò che era possibile riutilizzare è stato smontato e trasportato altrove. Si tratta di una Lada Niva non di un concorrente ma del servizio stampa, come è scritto chiaramente su una delle fiancate assieme all'anno in cui questa vettura ha terminato di muoversi, il 1988.

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LA SESTA TAPPA

In quell’anno qui passava la sesta tappa della competizione vinta poi da Orioli dopo uno storico duello con Picco. La speciale, soprannominata "Inferno", venne annullata, trasformandosi in un trasferimento dato che i camion di rifornimento carburante non riuscirono a raggiungere le loro posizioni. Ci doveva essere stata una tempesta di sabbia presumo. Chissà che tipo di guasto era occorso alla vettura e come se l'erano cavata gli occupanti. Giriamo intorno alla macchina ma non c'è rimasto che l’intelaiatura della vettura, dei monconi di cavi e poco altro, niente che possa farci capire cosa fosse successo. Come molti altri relitti del deserto non c’è traccia di ruggine, solo l’effetto dilavante del vento che ha sbiancato ed arrotondato le lamiere, segni di un passato quasi remoto. Di nuovo in moto. Dopo altri chilometri comincio a vedere in lontananza, sulla sinistra, una massa lontana emergere. Sembra un classico effetto ottico in quanto la massa appare sospesa per aria. Davanti continua a non esserci niente, però progressivamente la visione sulla parte sinistra si delinea e finisce per toccare terra, diventa quindi chiaro che quello che vedo sempre più chiaramente e il plateau di Djado.

LA DOGANA NIGERINA

E, alla fine si ”riemerge” da questo nulla e la massa sulla sinistra assume la forma di montagne che riempiono progressivamente l'orizzonte. La pista ricomincia a girare, ci sono dei dossi e guidare è ora molto divertente, saliamo una collinetta e ci fermiamo sotto i due candelieri. Ci concediamo il tempo per far girare lo sguardo da ogni parte per riappropriarci di questa capacità di posare lo sguardo su qualcosa. La pista scende dall'altro lato della collina che, però, ha una curvatura accentuata e non si nota bene che cosa ci troveremo davanti, si intravede appena una striscia verde. Sarà sicuramente l'oasi di Chirfa, siamo quasi arrivati, ci diciamo ed iniziamo a scendere. La traccia ci porta verso un accampamento militare dove ci viene incontro, intimandoci di fermarci, un soldato con una divisa perfettamente allacciata ed il basco in testa. Ha una carnagione molto scura, si rivolge a noi in francese con un accento che è diverso da quelli che sono abituato a sentire. Ho un sussulto. Sono arrivato di là, ho attraversato il deserto. No, non solo quello fisico, ma quello ideale, quello sempre presente nei miei sogni e che finora si estendeva senza fine, alimentato dal costante desiderio di viaggiarci. Mi rendo conto che sono approdato alla sponda opposta del "mare" desertico. In Algeria ero abituato a vedere nelle zone desertiche gente del nord che scendeva per lavorare a sud, ai pozzi petroliferi o per gestire la macchina amministrativa. Ora mi trovo davanti l'opposto: gente del sud che sale al nord per lavoro. Così è per questo soldato che viene dalla parte di etnia nera del Niger, come il suo colore ed il suo accento mi fanno capire. Mi scuoto da questi pensieri anche perché il militare mi chiede insistentemente il passaporto e non posso rimanere lì imbambolato. Ma lo so qualcosa dentro di me è cambiato. Sto iniziando a vedere e conoscere l'altra sponda del deserto

Benvenuti a Chirfa, stranieri.

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